La mia storia

Colloqui biografci a cura dei biograf volontari
dell'A.P.S. Parolefatteamano
ANDAR PER STORIE
…A MELDOLA
memorie di vita di cittadini meldolesi
volume 2°



Giocare e plasmare
Quando entri nel laboratorio di Roberto non vieni accolto solo dalle musiche inconfondibili delle chitarre classiche, ma
vieni avvolto dai colori, dai profumi, dall’energia della passione, della creatività, della scoperta e ... dalla bellezza. Dal
sogno, che modella la sua vita e l’accompagna. Dal lavoro solitario delle sue mani che tagliano, piallano, accarezzano,
incollano, verniciano. Pezzetto dopo pezzetto. Misurandosi con le incertezze, sprofondando nei dubbi e poi risalire con
soluzioni possibili. Il laboratorio come mondo interiore: ogni pezzo al suo posto, ordinato, catalogato nella sua mente
pur nella promiscuità apparente. Operaio a tempo perso e artigiano/artista nella vita interiore, quella vera. Quando
siamo bambini vogliamo distruggere, vogliamo aprire, vogliamo andare a vedere e vogliamo costruire. Adesso, adulti,
siamo più disincantati. Con le nuove tecnologie siamo diventati estremamente fragili, disorientati, inanimati perché
dipendiamo da esse senza conoscerle, senza maturare l’esperienza dell’incontro profondo con gli oggetti nella loro
essenza. Utilizziamo tante cose che non conosciamo, su cui non pensiamo, non progettiamo, non sogniamo. Utensili da
riparare, modifcare, a volte semplicemente aprire o utilizzare completamente in tutte le modalità possibili.
Consumiamo, ingoiamo e gettiamo i rifuti di questo processo prima di tutto mentale e culturale. Invece persone come
Roberto che costruiscono, che creano, che sono appassionati hanno una capacità interiore che va al di là di quello che
realizzano. È una cosa più ampia. Roberto non fa solo una chitarra. Esprime una capacità, usa il suo cervello,
l’abilità delle sue mani, la guida dell’esperienza, gli incontri con le persone. È tutto un percorso che a lui permette di
vivere e non sopravvivere. Ci vuole un pizzico di follia, un talento innato e il sentire che per nessuna ragione al mondo
potrà sottrarsi al proprio sogno. Essere invece homo tecnologicus vuol dire delegare, esternalizzare, archiviare fuori di
sé. In fondo svuotarsi della bellezza, della qualità, della leggerezza per riempirsi della quantità vorace, effmera e
invadente. Ci avvolge la sensazione di assistere alla conclusione di un mondo, il mondo del saper fare, l’importanza
dell’insegnamento e il bisogno di trasferire le proprie competenze. E allora ...lunghi anni all’uomo faber! L’uomo come
artefce, capace di creare, costruire, trasformare l’ambiente e la realtà in cui vive. La vita ci apre qualche volta strade
sconosciute e poi siamo noi che creiamo le condizioni perché ci appartengano. E possiamo così plasmare, in parte, il
nostro destino. Grazie infnite a Roberto che mi ha donato le storie della sua vita, di poterle condividere e custodire. Per
non parlare della sua simpatia, del suo sorriso, dell’accoglienza e del fume di parole, coinvolgenti e divertenti.
Maris Senzani Pezzi, 2017

Roberto Graziani



LA NATURA PRENDE FORMA

Giocattolini
Mi chiamo Roberto Graziani, sono nato nel 1966, sono di Meldola. Vengo da una famiglia
modesta, mio padre era un muratore, ed ecco, questa è già una cosa che mi piace dire, perché mio
padre, quando ero piccolino, la sera tornava dal cantiere con dei pezzetti di legno, andava nella
cantinetta e mi costruiva i giocattolini. E quindi mi faceva una volta la macchinina,
grossolanamente, una volta il camioncino e poi ... la gru. La gru fu straordinaria, completa con i
fli, aveva il cestello. Lì si era veramente espresso! E la carriola! La stavo dimenticando. Ci stavo
pure dentro la carriola! Avrò avuto 5 o 6 anni, quell’età lì. Poi ci giocavo per casa con mio fratello
più grande che si chiama Denis. E quella è stata una cosa che mi ha toccato molto nella creatività.
La fgura di mio padre è importantissima, come capita a tutti credo. Un’altra persona che mi ha
molto sbloccato o meglio arricchito nello sviluppo della mia creatività è stato il mio maestro
elementare Luciano Rossi. Purtroppo questo maestro ci lasciò nell’estate, noi avevamo appena fnito
la terza elementare, morì in un incidente stradale. Aveva un vespone, andava a pescare e lui morì
con questa vespa, purtroppo. Fra l’altro per noi, l’anno della quarta elementare fu un trauma.
Questo maestro era il nostro fratellone più grande, in particolare quelli più discoli, quelli più vivaci
1 Colloquio biografco a cura di Maris Senzani Pezzi - A.P.S.parolefatteamano 2018
a scuola, tipo me, eravamo i suoi cocchi. Evidentemente lui vedeva in noi molta creatività. C’era
sempre un pezzettino di compensato e lui portava a scuola sempre il traforo e ha costruito delle cose
per noi incredibili. Tipo la catapulta piccolina dei romani che funzionava con l’elastichino e dopo
tiravi la pallina di carta a quell’altro. La costruivamo in classe. Era straordinario! Se no la spada, lo
scudo, sempre in compensato. Portava sempre dei pezzetti di legno che credo fossero in una stanza
lì della scuola. So che noi ci trovavamo già con tutta la roba da fare e per noi, andare a scuola con
lui, era uno spasso. Era uno spasso assolutamente! Credo che queste due persone, un po’ il maestro
Luciano e un po’ mio padre mi hanno dato molto. Fin da bambino anche con mia mamma, in casa,
lei faceva la sarta, con un pezzetto di stoffa mi costruivo i Muppets, o la cartapesta, il sacchettino,
cucivo e realizzavo cose. A scuola non ci andavo molto volentieri. Col senno di poi tante cose le
rivedi. Con la morte del maestro gli anni successivi sono stati un po’ critici. Ero veramente molto
affezionato a lui. La mia fortuna fu che alle medie trovai un professore di italiano, di cognome
Pannella, di Meldola. Avevo sempre un carattere molto vivace e lui però riuscì a domarmi. Era una
persona molto colta e autoritaria e con il suo modo di porsi, non era paura, lo ammiravo. Mi aiutò
molto a rientrare nei ranghi. In quel periodo di scuola quello che preferivo era disegnare. Disegno e
geometria erano le materie dove andavo meglio. L’italiano, con questo professore spettacolare, le
poesie le leggevo una volta e poi le imparavo subito, non so perché. Era così.


Vuoi il motorino o tvu ande’ a scola?
Alla fne delle scuole medie, ecco la classica frase che ti fa il padre, muratore,quando non ha tanti
soldi da spendere, ti dice: “Ma te vuoi il motorino o tvu andè a scola?”. Sai, il motorino è sempre
stata la mia grande passione e quindi risposi: “Voglio il motorino e vado a lavorare”. Andai a
lavorare come falegname, qui da Ranieri a Meldola. Ci sono rimasto sei anni e ho fatto il
restauratore, il falegname ecc... Mi sono un po’ formato nella conoscenza e nella fabbricazione del
legname. Nel frattempo avevo una passione per il motore che era una cosa che non mi si poteva
tenere! Fin tanto che si parlava di motorino va bene, ma io volevo il motore da cross. E il motore da
cross fno ai diciotto anni i miei assolutamente no. Avevo un fratello, come ho detto più grande di
tre anni. Lui fu il fortunato vincitore della Honda XL 250, nel senso che gli permisero di
comprarsela. Era il 1982, l’anno dei mondiali e mi ricordo bene che la sera arrivò l’Honda, due o
tre giorni prima della fnale. La domenica eravamo tutti in giro per Meldola a festeggiare con i
motorini, le bandiere, un casotto … Una settimana dopo, neanche dieci giorni, mio fratello ebbe un
incidente e fnì in coma. Fortuna che si è salvato. Dal di lì i miei genitori mi dissero: “Il motorino sì,
quello da cross assolutamente no!”. E allora quando ho compiuto i diciotto anni, sono andato in
banca, ho frmato l’assegno, adesso non mi ricordo se erano due milioni e cinquecento mila lire.
Costavano tanto i motori da cross! E comprai una KTM 250 e nel frattempo continuavo a lavorare
da Ranieri. Però l’ho usata solo un mesetto perché poi mi è arrivata la cartolina per il servizio
militare, boom e sono dovuto partire. La moto nuova in garage e io sono a Gorizia a fare il militare.
Ero in fanteria, nella Folgore, non venivo mai a casa in licenza. Ero in una caserma di confne,
operativa ma fortunatamente di comando trasmissioni, eravamo duecentoquaranta. Ho fatto il
barista, liscio come l’olio. Appena fnito il militare e tornato a casa ho ripreso subito la moto
facendo allenamenti amatoriali. Andavo via con gli amici, il mio carrello, ero indipendente. Andavo
nelle piste di Faenza, Porcentico e Modigliana, dove c’era una pistina. Lì mi fratturai gravemente il
ginocchio. Era il 1987. Cadutone in volo, con la gamba girata sul ginocchio! Lo stivale stava là,
girato. L’allenamento, la preparazione c’erano ma quelle cadute lì non perdonano. Ho preso il
salitone in quinta marcia sparato, quando ho saltato la ruota dietro ha girato e poi … non c’era più
niente da fare. Il motocross purtroppo è andato! Era agosto, la terra secca come il veleno, hai poca
aderenza, le piste molto bucate e, va bè … mi è capitato. Solo che, dopo questo incidente, con una
frattura, per i tempi che erano, anche sistemata bene dal dott. Lazzari a Faenza con due viti inserite,
persi il lavoro. Solo di gesso l’ho portato per novantacinque giorni. Quando mi hanno tolto il gesso
la gamba lan gnera piò. Mi ci sono voluti altri nove mesi abbondanti per recuperare. Ranieri dopo
sei mesi poteva licenziarmi e mi ha licenziato.


Creare le cose, ilgusto del bello, l’arte
Dopo mi sono sempre adattato ai lavori che ho trovato. Quindi ho fatto dal cementista dove si
fanno i capannoni industriali, al muratore … ho fatto quello che c’era da fare. Economicamente mi
sono sempre dovuto sostenere da solo e quindi mi sono fatto coraggio. La vita va avanti. Poi ho fatto
il fornaio per sei anni. E sono stati sei anni molto, molto profcui perché avevo molto tempo libero.
Facevo il fornaio sei ore a notte, avevo un bel ritmo, dormivo pochissimo quindi lo spazio di tempo
per me era notevole. Tipo, non so, erano quasi sempre week-end, in cui andavo con la fdanzata a
vedere qualche mostra, qualche museo, qualche chiesa in giro per l’Italia. In macchina, la moto
l’avevo abbandonata. Non stavo fermo in un posto. Ero sempre in giro a vedere di tutto, ogni cosa
possibile. In quel periodo lì costruii il mio laboratorio nel garage e iniziai, come hobby, il lavoro che
facevo prima, quello di restauro mobili. Per me e per qualche amico. Mi sono abbastanza divertito.
Mi piaceva, mi mancava. Creare le cose, il gusto del bello, l’arte. Cose che mi hanno sempre
appassionato. In quel periodo perciò restauravo, facevo il mio lavoro, vedevo un sacco di cose e
leggevo moltissimo, per addormentarmi la mattina, Calvino, Dostoevskij, Pavese ecc.... Lavorando
la notte hai bisogno di svagarti. Poi la sera il cinema Verdi di Forlimpopoli in seconda visione. Non
me ne sono perso uno! Penso che andavo al cinema sei volte la settimana. Ti si apre un po’ la
mente, cominci a guardare le cose con gli occhi degli altri. Ti insegna ad essere modesti, nel senso
che bisogna sempre avere la capacità di capire che non siamo mai arrivati e quindi possiamo
sempre imparare anche dalla più piccola cosa. La voglia di sapere, di capire e di arricchirmi è stata
una bella fortuna. Magari prima ho perso tanto a fare delle sgommate col motorino, ma sono servite
anche quelle. Capitai alla Biennale di Liuteria Classica di Bagnacavallo. Bellissima! Una domenica,
per caso. Mi ricordo questi strumenti fantastici. C’erano il quartetto classico e una sezione di
chitarre. Il quartetto erano violino, viola, violoncello e contrabbasso, prodotti da vari liutai
provenienti dalla scuola di Cento, dalla Civica di Milano ecc.., molti autodidatti. E c’era la sezione
chitarre. Tra l’altro ho ancora i book di quelle fere. Ne ho ancora due o tre a casa. Bellissimi. Nella
sezione chitarre c’erano in concorso strumenti, ad esempio un nome è Frignani, che arrivò una
volta terzo poi primo con una delle sue opere. Oggi Frignani ha le sue chitarre pubblicate su Guida
al Salone International a 14.000 Euro. Lui è passato da quella mostra lì. Già si capisce che gli
strumenti presenti erano di grandissimo livello. Mi ricordo che guardavo queste chitarre, con
curiosità, nei particolari, sono uscito e ho detto alla mia fdanzata: “Domani faccio una chitarra”.
Lei ha detto: “Mo sta bon, va la!”


La chitarra è una scienza
Invece la prima cosa che feci, nel mese successivo, fu trovare il libro: “La costruzione della chitarra
classica” di Mario Garrone, casa editrice Bèrben, una casa editrice favolosa nell’ambito dell’editoria
musicale. Prima di tutto c’è voluto perciò questo libro, che ho cercato e voluto. Sono andato da
quello che adesso è Dragon Music, una volta in via Giorgio Regnoli, credo, ora in viale Bologna.
Mi ricordo che gli dissi: “Sto cercando un manuale per costruire una chitarra classica” e lui mi disse
che ce n'erano due o tre in commercio. “Dammi quindici giorni che mi informo”. Ci tornai e mi
disse: “Guarda, ti ho trovato uno dei più belli, quello di Garrone! È un manuale molto completo, ci
sono anche nozioni di fsica dentro!”. Sono quindi partito da lì. E come la intende Garrone prima di
tutto devi costruirti gli attrezzi. E non pensare di fare una chitarra e sia come fare un mobile! Ti
devi fare lo stampo e tutti gli attrezzi che ti servono. Ad esempio il compasso per fare il taglio della
rosetta. Perciò tutti gli attrezzi, gli utensili li ho costruiti da solo. Così come lo stampo, così come il
piegafasce, che serve per curvare la chitarra. Il manuale è stata la mia Bibbia. La chitarra è una
scienza, una cosa un po’ seria da fare. Quindi son partito proprio da zero. Mi sono dimenticato che
ero un falegname e ho cominciato a leggere il manuale. Cosa molto semplice perché se ho letto i
fratelli Karamazov ... ah ah! La fase successiva è stata subito quella di cercare i materiali adatti. Già
il Garrone in calce indicava gli indirizzi a cui rivolgersi. Dava i riferimenti delle ditte importanti da
contattare. Ad esempio, per i legni pregiati di liuteria, sono andato alla Goth & C. di Cazzano di
Tramigna, in Veneto, fra Verona e Vicenza, un paesino come Corniolo, un bellissimo posto. Mi
ricordo che sono entrato nel magazzino della ditta, dentro ad un palazzo del Quattrocento, con
volte altissime, e ho trovato tutti i legni pregiati, già selezionati, sulle scansie. Legni per strumenti a
pizzico e che costano tantissimo. Entri in un mondo che ti dici subito: “Attenzione! Qui il gioco è
serio”. Perché inizi a lavorare con cose che costano. Perciò lo sbaglio deve essere abbastanza
limitato. La tua esperienza te la devi fare. La chitarra subito non verrà benissimo, però partire con
materiali giusti … Si può partire con del compensato, del laminato ma non hai la risposta del suono.
Ma stai costruendo uno strumento! Stai costruendo un mobile e ti serve solamente l’estetica oppure
uno strumento che avrà una sua proiezione di suono? Allora hai bisogno di iniziare con i legni, i
materiali idonei. Altrimenti parti con del compensato, spendi poco…, allora fai del modellismo! È
la stessa cosa. Invece hai bisogno che abbia una sua anima, una sua voce. Con il compensato non la
fai la voce. E come fai a capire che il lavoro che stai facendo sulla tavola armonica oppure gli
spessori sono giusti? Il Garrone e tutti i manuali non è che ti danno le cose nel dettaglio. Possono
arrivare solo fno ad un certo punto, poi, tocca a te. Ad esempio, lo spessore della tavola armonica
non è uno spessore standard di tre millimetri e tutto va bene. Non è così. Ogni pezzo di legno anche
se noi prendiamo un quarto di taglio dalla stessa pianta può avere una variazione. L’intonazione sei
te che la dai. Quindi l’intonazione viene fatta attraverso la spessoratura e l’incatenatura. Queste cose
non fanno più parte del calcolo ma parte del mestiere. Allora, come fai a sviluppare quella capacità
con un materiale che non è idoneo? Non ci arriverai mai! Per cui devi partire subito con i materiali
migliori.


Il taglio di quarto
Sono appassionatissimo di musica. Canto in casa, ho sempre strimpellato la chitarra. Ho molto
orecchio. Ho sempre cantato. Ho sempre fatto l’autoradio nella cinquecento di mio babbo. Il
Karaoke non mi fa neanche ridere! Nella chitarra in effetti ho trovato tutto: la mia passione per la
musica, per la creatività e l’estetica. C’è tutto secondo me. L’arte in genere non è una cosa statica.
Quindi ci trovi la dinamica. Devi dare la personalità, devi tirar fuori, come posso dire, il punto
giusto da cui esce il suono. Questo lo trovi solamente con l’esperienza. Io vado molto a sentimento.
Entrando alla Goth, con i signori presenti, mi sono posto sinceramente come un bambino. Mi sono
fatto consigliare da loro. Nelle ditte i legni sono classifcati. Quindi c’è la special, la tre a, la due a, la
seconda scelta. Già dal di lì tu cominci a capire. Li guardi e dici: “Scusa ma perché questa tavola
armonica costa 150 euro e questa ne costa 30?”. “Guardala bene” mi rispondono. In effetti nel
primo caso le vene sono tutte belle strette mentre le altre sono larghe. Ecco, cominci a fare la
conoscenza del materiale. Dopo questa cosa l’ho voluta migliorare, nel senso che, negli ultimi due
anni, vado direttamente a prendere il legno delle tavole armoniche alla foresta della Val di Fiemme,
a Paneveggio. Lassù c’è la casina della Forestale, loro sono quelli del demanio che gestiscono tutto il
legno di risonanza della foresta. E c’è il maresciallo della forestale, una persona veramente alla
mano che anche l’anno scorso gli ho telefonato e sono andato da lui in motore. Andavo in Croazia,
avevo già pianifcato tutto: avevo contattato il corriere per il trasporto, ecc… L’ho chiamato il
giorno prima, ora non mi viene il nome, ah, sì, Giuliano, “Guardi vengo domani” e poi “Sono a
Trento, nel pomeriggio arrivo”. A Paneveggio hanno un bel magazzino con tutti i quarti già tagliati.
È abete rosso per la tavola armonica. Per capire la grande differenza fra il legno di carpenteria e il
legno di liuteria bisogna capire cos’è il taglio di quarto. Il tronco di carpenteria viene tagliato nel
senso longitudinale mentre per ottenere che la venatura sia sempre perpendicolare lo devi tagliare a
spicchi. Il tronco viene tagliato a spicchi lungo i quarti e viene chiamato “taglio di quarto”. Sicchè
tu avrai delle sorti di cunei che a loro volta tu sfetterai e avrai due facce esattamente simmetriche con
la vena sempre e costantemente perpendicolare al piano. E questo è fondamentale per la stabilità e
la propagazione del suono. La venatura che metti nel legno è la prima cosa che devi scegliere. Lo
strumento subisce delle torsioni già di suo e una volta che hai messo le corde che tirano per quasi
sessanta chili. Eh sì, le sei corde quando sono in tensione tirano quasi dieci chili l’una. Quindi una
chitarra per tutta la sua vita subirà sempre questa tensione continua. Per questo la sua costruzione
va assolutamente studiata e i legni vanno messi in maniera che le diano una assoluta stabilità. Così si
fa per il manico, diviso in tre pezzi, in modo di mettere le venature una contro l’altra e far sì che
non curvi. Lo stesso discorso vale per il legno delle fasce del fondo e del piano armonico dove
bisogna sempre tenere presente che devi avere una venatura perpendicolare al piano, in modo che il
rischio della crepa è molto ridotto. Il legno è inoltre più stabile. Quando vado nel magazzino in Val
di Fiemme hanno già grandi dispense con tutti i quarti già tagliati perché tengono una varie scelte,
selezionate dal maresciallo. L’anno scorso hanno partecipato con uno stand alla Fiera di Cremona e
salutandoci mi ha confermato che ora vanno anche alle fere, con grande risposta da parte degli
appassionati. Il legno di risonanza della Val di Fiemme è il più conosciuto e stimato al mondo
nell’arte della liuteria.


Non poteva essere fare del modellismo
Mi ricordo ora il giorno in cui andai da Stanzani a Bologna. Mi ero messo a ricercare chi potesse
avere la mia stessa passione qua in giro. Non trovavo nessuno e volevo confrontarmi con qualcuno.
La prima chitarra che ho fatto, insomma …, era un po’ bruttina. Però ha emesso un vagito. Poi si
era scollata e anche le corde … Mi dicevo: “Lo stampo è fatto, gli attrezzi ci sono, cosa sarà?”. Ho
trovato l’indirizzo di questo liutaio che fa chitarre arch-top, chitarre classiche, bassi da palco. Lui è
morto che non è molto. Ho visto suo fglio Paolo in una fera a Cesena, due mesi fa, la Fiera
Antiquaria, dove quest’anno hanno inserito una sezione degli strumenti antichi. E gli ho ricordato la
prima volta che ho incontrato suo padre. “Salve, buongiorno sig. Stanzani, ho fatto un bel giro per
venirla a trovare. Vorrei costruire delle chitarre, posso stare con lei per vedere cosa fa?”. Mi rispose:
“Ah babì, stai pu però talsepa che ste vu magnè con la chitara l’è dura!”. Era il 1997, un sabato. E
mi permise di stare lì a guardare quello che faceva, tutto il giorno. Mi fece vedere il suo laboratorio,
le chitarre che stava realizzando e mi raccontò degli aneddoti. Nel senso che ha cercato di
dissuadermi o di mettermi in guardia. Lui, ad esempio, ha regalato a Gianni Morandi sei, sette
chitarre. “E credi che mi abbia mai pagato una chitarra? Per forza le ho regalate!” mi ha detto.
Antonacci che gli telefona e gli dice: “Portami una delle tue chitarre che ci sono queste Martin che
non suonano!”. Era un discorso per farmi capire come era l’ambiente e come entrare. Per dirmi che
questo mondo non è facile. Costruire chitarre non è certamente una cosa semplice, in più dovrai
confrontarti con un mondo che è ancora più diffcile. Perciò mi ha fatto capire che dovevo
avvicinarmi al mondo della chitarra con molta calma e seriamente. Non poteva essere fare del
modellismo. Di persone ne ho incontrate tante e poche, nel senso che sono sempre stati episodi di
una mezza giornata, di quattro chiacchiere. Andare alla Liuteria Toscana, parlare qualche ora con
un liutaio di Cremona, un avvocato. Ho fatto tutte cose da autodidatta. Come disse il liutaio
toscano, Maggi quando gli chiesi: “Mi scusi, ma lei che scuola ha fatto?”. Mi disse: “Io sono un
autodidatta!” e mi sono dovuto spostare di due o tre metri come per evitare uno schiaffone. “Però
ho studiato tantissimo” aggiunse molto serio. Ci fu un momento in cui, mi ero anche informato,
volevo andare a fare qualche corso di formazione. Per avere quel foglio di carta con scritto “Ha
frequentato con proftto il corso…” però, alla fne, serve e non serve. Parlai con un maestro della
scuola di Pieve di Cento. “Quasi quasi verrei a fare il corso quest’inverno. Sono alla
quattordicesima chitarra…”. “Allora cosa vieni a fare!”. “Ma io vorrei perfezionarmi, avere un
foglio di carta”. “Noi non diamo un diploma. Diamo solo una frequenza. Se è solo per questo lascia
perdere. Solo l’Università di Cremona rilascia attestati con valore di un titolo e devi fare quattro
anni”. Alla fne la scuola di Cento e altre sono scuole private dove se sei proprio a zero impari a fare
uno strumento. Ma non uno strumento di alta qualità. Lo riesci a fare solo con la voglia e la
capacità di tirare fuori quello che hai e senti. Riesci a farti una bella base, un inizio. Alla fne ho
deciso di non iscrivermi, considerando anche la distanza da percorrere. Ho deciso di prenderla
come un gioco. Questo sarà il mio passatempo quando sarò in pensione, mi sono detto.


La chitarra di carosello
Un episodio speciale, una soddisfazione straordinaria. Una bellissima giornata di, credo, tre anni fa.
Devo fare una premessa. Quando mi sono trovato fra le mani le prime chitarre ho ricominciato a
tornare a scuola di chitarra, da Silvio Legni. Per riprendere un po’ in mano lo strumento, dopo
averlo strimpellato in gioventù. In quel periodo mi piaceva un sacco e mezzo la Bossanova. Me ne
ero innamorato ascoltando alla radio Caetano Veloso, Joao Gilberto, Antonio Carlos Jobim e altri.
Cercai un manuale di didattica sulla Bossanova e sulla musica brasiliana. Comprai il manuale di
“Musica della chitarra brasiliana” di Antonio Tarantino. Fantastico. Fantastico perché sono quei
manuali con tablatura sotto, vuol dire che sotto uno spartito normale di un classico musicista, il rigo,
mettono una graduazione scritta, numerica, in modo che tu anche se non sai leggere la musica puoi
suonare. Cominciai a suonare la samba, la bossanova e veramente mi appassionai un sacco. E poi
per la chitarra classica sono proprio la samba e il famenco le musiche più adatte, assieme
naturalmente alla classica. Insomma, questo Antonio Tarantino, musicista napoletano molto
conosciuto, per me era il massimo. Gli chiedo l’amicizia su facebook. Me la da. Non ci parliamo
mai. Arriva agosto, tre anni fa, vedo sul suo facebook che pubblica una foto di lui e sua moglie:
“Siamo a Bellaria. Ciao a tutti”. Bellaria! Aspetta un attimo: “Ciao Antonio Tarantino, mi chiamo
Roberto, abito a Meldola, vicino a dove sei, costruisco chitarre per passione, verresti a vedere le mie
chitarre?”. Così. Passa mezzora e mi risponde. “Ciao Roberto, prendo un taxi o mi vieni a
prendere?” No!!! Non ci posso credere! Lo chiamo al telefono e gli dico che vado subito a prenderlo.
Lo raggiungo a Bellaria, lui era con la moglie. Io avevo portato con me una amica. Venne a casa
mia e stette tutto il giorno a suonare le mie chitarre. Fu una emozione ... Fu veramente una giornata
fantastica. Io non ho una cultura musicale da liceo, ok..., per me, che sono un autodidatta, lui ,come
chitarrista, rappresentava, rappresenta un chitarrista di altissimo livello. E averlo lì in casa che si
divertiva con le mie chitarre, che suonava le canzoni che io avevo studiato sul suo manuale e poi gli
chiedevo: “Mi fai Incontro a Copacabana”... Ho proprio il video! Ogni tanto lo guardo con grande
emozione. A fne giornata mi disse: “Ottimi strumenti, andiamo bene”. Sta aspettando che gliene
spedisca uno. E appena avrò la chitarra per lui gliela spedisco, chiaramente gratis. Spero entro
quest’anno di inviargliela. Lui è napoletano, un maestro di scuola, liceo musicale, ogni tanto
partecipa a trasmissioni televisive: l’hanno chiamato in Rai che non è tanto. Ti ricordi la chitarra di
Carosello? Quella è la sua! Dandandadandaradadà … Quello è lui, Tarantino. È quello che suona.
Anni 1975/76. A ventun anni era già in Brasile che suonava con Toquinho. Quel giorno fu per me
di grande emozione.


Cuocere l’anima
Purtroppo nella mia attività ludica di costruttore di chitarre non ho molto tempo e non posso
dedicare tempo se sono stanco, deconcentrato, senza voglia. E quindi il processo di evoluzione del
mio lavoro va avanti abbastanza lentamente. Un paio di mesi fa però ho conosciuto un avvocato di
Cremona che mi ha detto che in trent’anni ne ha costruite sette. Allora mi sono rinfrancato. Le ha
fatte senza nessuna intenzione di guadagnarci niente, solo per passione è riuscito a costruire chitarre
che poi alcuni chitarristi gli hanno detto che erano favolose. Che erano veramente eccezionali. Lui
già lo sapeva. Però solo un chitarrista può dirlo. Inoltre, normalmente, si possono comprare delle
rosette già prefabbricate, si fa lo scasso e si tende a montare semplicemente sullo scasso. Andando in
giro per le fere, parlando con altri, ho capito che costruire il proprio mosaico è fondamentale. Anche
gli altri liutai, autodidatta o meno, quando sei in grado di costruirti un mosaico cominciano a
guardarti in un modo diverso. Perché tutti sanno quanto è complesso tirare fuori il disegno, un fore,
una greca… Questo è un calcolo molto preciso. Sono sequenze di legni che devi comporre per
arrivare al risultato fnale. Devi lavorare con lamine che alla fne debbono essere di sei decimi. Con
il calibro. Non a casaccio. Altrimenti quando vai a comporre, il disegno non torna. È una cosa
molto complessa. Non è il classico mosaico su due livelli, è tridimensionale. Si parte da “panetti”
con spessore 1,2 e debbo arrivare a 0,6. Per fare ciò debbo usare un attrezzo speciale che mi sono
costruito. Quando ho costruito la mia prima rosetta, il mio primo mosaico ero proprio contento.
Questo gioco, lo chiamo così, continuerò a farlo solo per passione Ho visto dei bellissimi
documentari in cui si vedevano falegnami che costruiscono chitarre in maniera “tecnologica”. Ci
sono macchinari come calibratrici, frese ecc… Se vedi come vengono costruite le chitarre
industriali, …lascia perdere! Io rimango sempre molto affascinato da quei maestri liutai, in
particolare mi capitò di vedere un maestro liutaio giapponese, quelli che costruiscono come
nell’800, quasi tutto fatto a mano, dall’utensile al manufatto fnale. Dovrebbe rimanere una
tradizione il più possibile legata al passato. Ad esempio i legni si potrebbero piallare e spessorare con
una calibratrice. La tecnica invece richiede ancora lo strumento manuale della rasiera. Per un semplice
motivo. Perché la rasiera non rovina il legno! Non lo scalda, non lo cuoce. Se metto dentro una
calibratrice un legno e lo faccio passare dieci volte, per portarlo a due millimetri e qualcosa, gli ho
cotto tutte le resine. Gli ho cotto l’anima! Sono cose fondamentali. Il legno va utilizzato per la sua
vita che ha. Dentro ha delle resine che cristallizzano. Le vecchie tecniche, a partire da come si
lavorava una volta, sono indispensabili da mantenere. È chiaro che con il processo industriale dove
prendo queste tavole, le piallo, le calibro, non guardo gli spessori, non guardo niente… poi cosa
succede? Quello che ti convince a comprare una chitarra in un negozio alla fne è la lucidatura.
Vengono lucidate a poliestere, le vedi “specchiose” e poi rimangono lì perché non hanno armonia,
propagazione del suono. La chitarra di quel spettacolare liutaio di Cremona esteticamente la
guardavi e non aveva niente di particolare. Ad esempio una lucidatura fatta bene. Quando il
maestro però l’ha suonata ti dici: “Come è venuta fuori questa chitarra?”. Lui non si è fermato
all’estetica, ma ha creato uno strumento musicale. La cosa che deve compiere alla fne è suonare,
emettere un suono, una sua voce bella, armoniosa. E ci puoi riuscire solo se in tutti i procedimenti, i
passaggi che fai, rispetti il legno.


Fare le chitarre è una grazia di Dio
Un giorno avevo un mio amico chitarrista, che purtroppo è morto due anni fa, Russo Tommaso di
Bari, e veniva all’Irst a curarsi. E io abito lì vicino. Un giorno ero nel mio garage, sotto nel
condominio, e c’erano bambini che giocavano e una bimba, che non avevo mai vista, si è fermata a
guardarmi da fuori. Mi fa: “Hei, ma tu fai le chitarre?”. Io: “Sì, ciao, come ti chiami?”. Lei: “Mio
babbo è un chitarrista”. “Davvero? Dai fammelo conoscere. Dov’è il tuo babbo?”. E il giorno dopo
è venuta la bambina con il padre, Tommaso. Veniva a Meldola ogni venticinque giorni per curarsi
all’Irst. E sono iniziati un paio di anni di amicizia. Un giorno ero lì che facevo un procedimento e
lui era seduto su una sedia a guardarmi montare i fletti. Quando ho fnito mi fa: “Adesso ho capito
che fare le chitarre è una grazia di Dio”. Ho avuto chitarre in mano per quarant’anni e non avevo
ancora capito che la chitarra fosse una cosa così complessa. Ho ripensato alle diffcoltà, io che non
ho avuto nessuno che mi potesse insegnare, cercare testi per imparare, parlare con chiunque potesse
darmi anche una solo informazione... Ad esempio, vado su alla segheria della Berleta, come si
chiama.., Renato..., non mi ricordo, parlavamo di legno, volevo capire. “Ma l’abete rosso è anche
qua in Campigna?”. “Ah certo, hanno provato quelli della forestale, ma non cresce uguale perché è
una questione di aria e di altitudine. Non viene come quello della Val di Fiemme, capito?”. Quindi
ogni persona da cui prendevo un’informazione era per me preziosa. E ora una cosa che mi
piacerebbe tanto è farlo vedere, insegnare alle scuole, mostrare alle classi, per trasmettere qualcosa.


La chitarra è una metafora della vita
Nel mio futuro spero di poter mostrare il mio laboratorio alle classi, in particolare ai bambini delle
elementari, un po’ come fece il maestro Rossi con me! Mi faceva i giochini con il compensato. A
proposito, mi ricordo…, avevo un Kit della Meazzi, una chitarra in compensato da montare fai da
te. C’erano tutti i pezzi, dovevo solo incollarli. Quando penserò che il laboratorio sia pronto inizierò
ad invitare per le visite. Credo che non mi basterà una vita per costruire una “Frignani”, ma questo
è il mio obiettivo. Quindi non posso disperdere la mia passione con altri strumenti. Mi piacerebbe,
ad esempio, costruire la folk oppure l’acustica. Rimango concentrato nella classica, non posso
disperdere le energie. La chitarra è la bellezza, l’armonia. È l’armonia del mondo perché chi ha
pensato a quel corpo già pensava alla creazione del mondo: la chitarra si ispira al corpo della
donna. In tutto. Tanto è vero che le sue parti si chiamano spalle, fanchi, vita. Poi c’è la buca! Lì c’è
tutto. C’è la vita. Esce la musica. La chitarra è una metafora della vita. Veramente è una grande
metafora della vita. Secondo me è questo che rappresenta. Quindi il mio tempo, anche se sarà
tempo perso, è un tempo speso bene. Qui, nel mio laboratorio, ritrovo me stesso, e sono queste le
cose che valgono. L’arte. Cos’è l’arte? Comunicare qualcosa. Un quadro. Tutti possono pitturare.
Anch’io l’ho fatto e mi sono anche venuti bene! Però il quadro non è necessario, non è
fondamentale che sia dipinto come Raffaello, cioè essere una perfezione. Cos’è che fa di un quadro
di te un artista? È la comunicazione. Tu senti, anche se non hai studiato all’Istituto d’Arte. Mi
ricordo, alla mostra d’arte annuale che si tiene a Bologna, mi sono trovato davanti “Le tigri” di
Ligabue. Sono stato ben venti minuti dentro al quadro. Con le tigri che sembrano uscire fuori. È
una cosa stupenda. Ecco, non c’è la perfezione del tratto, non c’è la pennellata alla Raffaello, non
c’è il dettaglio, ma c’e la potenza …, la potenza. Il quadro di Ligabue, un autodidatta, però non è
semplice. Come altri grandissimi artisti aveva una dote innata e metteva tutte le cose al proprio
posto. Senza una scuola, senza un insegnamento. Lui le aveva già dentro se stesso. Quindi alcune
cose sono già dentro di noi. Sono innate. Io sono un autodidatta. Mi ricordo che qualcuno a
Meldola, sapendo che costruivo chitarre, ad un distributore, mi disse: “Ah, ma a te se serve una
macchina te la fai da solo?”. D’altronde io vivo a Meldola, non a Ravenna, dove già si mastica di
più la cultura o a Bologna, dove ci sono vari liutai. A Meldola se fai una cosa un po’ strana, sei
diverso. Non è un problema. So che poi un domani cominceranno a vedere queste cose. Anzi, mi
diranno: “La bellezza è in te”.

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